San Girolamo Emiliani
Il grande esempio di santità del Patrono della gioventù abbandonata (festa il 20 luglio)
San Girolamo Emiliani (1486-1537), veneziano, di famiglia nobilissima, è non solo un grande santo, ma un grande convertito e ciò rende la sua figura esemplare e particolarmente interessante. Carattere forte e impetuoso, dopo una fanciullezza segnata da una buona pratica delle virtù, a quindici anni si arruola nelle milizie veneziane dove fa carriera, ma scende anche tragicamente i gradini della dissolutezza e del vizio. Nel 1508 come comandante difende eroicamente Castelnuovo, nei pressi di Treviso, durante la guerra contro la Lega di Cambrai. La piazzaforte alla fine cade e Girolamo è fatto prigioniero, incatenato e trattato duramente dai suoi carcerieri. Dopo alcune settimane, ridotto alla disperazione e temendo di perdere la vita, privo di ogni soccorso, si ricorda della chiesa dedicata alla Santa Vergine a Treviso, si rivolge a Maria con tutto il cuore, facendo voto di visitare questo stesso tempio a piedi nudi e di celebrare pubblicamente le grazie che avrebbe ricevuto, a voce e con dipinti. Qui i biografi narrano che vi fu un grande miracolo: la Santa Vergine stessa lo libera dalle catene e lo guida attraverso le schiere nemiche fino a permettergli di entrare a Treviso e recarsi alla chiesa della vergine, ove lascia le catene dalle quali era stato prodigiosamente liberato.
La Repubblica lo premia per la sua fedeltà dandogli in possesso per trent’anni il castello di Castelnuovo, ma ormai Girolamo è deciso a cambiare vita: trovato un savio direttore spirituale, inizia un cammino di grande mortificazione, abbandonando ogni lusso e agio, dandosi a una fervorosa vita di pietà, digiunando e macerandosi con penitenze, rubando le ore al sonno per passarle in preghiera. Trascorre le giornate visitando gli ospedali, soccorrendo i malati e i bisognosi, procurando la dote a giovani fanciulle a rischio di perdersi e aiutandole a sposarsi. La sua persona è completamente trasformata dalla più profonda contrizione: giunge al punto che non può pensare ai gravi disordini del suo passato senza scoppiare a piangere.
Nel 1528 si ha una gravissima carestia a Venezia e nella regione circostante. Rifluiscono in città un grande numero di profughi, aggravando i problemi alimentari e assistenziali; il numero dei morti è molto grande e moltissimi orfani rimangono abbandonati nelle vie desolate della città lagunare. San Girolamo li soccorre, li riunisce, sacrifica i suoi beni per sfamarli, oltre che per sfamare i poveri della città. E’ l’inizio della sua opera: ben presto sacerdoti e laici si uniscono a lui e si comincia a dare ai numerosi orfani raccolti anche una solida formazione cristiana, ad insegnare loro il catechismo, a fare apprendere un mestiere. San Girolamo li porta spesso in processione per le vie di Venezia con la loro divisa bianca, cantando salmi e litanie: il popolo ne è edificato e commosso. Tutti stupiscono di come un nobile, con titolo senatorio e grandi beni, possa iniziare a vivere come san Girolamo: si veste con estrema semplicità e povertà di rozzi abiti, trascura il suo aspetto, mostra il più grande distacco dal suo titolo e dal prestigio della sua casata.
Nel 1535 il cardinale Girolamo Aleandro, in qualità di Nunzio Pontificio, approva la nuova comunità religiosa che ormai si è formata e che prende il nome di “Compagnia dei Servi dei Poveri”. Da più ampi compiti assistenziali, la Compagnia ben presto inizia a dedicarsi solo agli orfani e agli abbandonati. San Girolamo si sposta all’interno della Repubblica di Venezia e apre altre case (ad esempio a Verona, Brescia, Bergamo).
Cinque anni dopo la nascita la “Compagnia dei Servi dei Poveri” è riconosciuta da papa Paolo III. Infine, nel 1568, san Pio V, il grande Papa che inizia ad attuare il Concilio di Trento, riformando la Curia Romana e la Chiesa tutta dalle fondamenta, con il Breve Pontificio “Ex Iniuncto nobis” dà il definitivo riconoscimento canonistico alla “Compagnia”, che è elevata da semplice congregazione a vero e proprio “ordine regolare”.
L’ordine poi avrà come sede centrale una casa sorta a Somasca, nei pressi della città di Lecco, e col tempo prenderà il nome di “Ordo Clericorum Regularium a Somascha” (Ordine dei Chierici Regolari di Somasca, normalmente chiamati “Padri Somaschi”), vivendo secondo la Regola di Sant’Agostino.
L’Ordine col tempo si distinguerà per la fondazione di scuole e collegi in cui formare la gioventù, e si dedicherà all’educazione non solo degli orfani, ma di fanciulli provenienti da ogni classe sociale, anche dalla nobiltà: non casualmente il suo più celebre allievo sarà Alessandro Manzoni, formato nei collegi di Merate e di Lugano.
San Girolamo Emiliani venne beatificato, circa due secoli dopo la morte, il 23 aprile 1747 da papa
Benedetto XIV,
e canonizzato pochi anni dopo da papa Clemente XIII, il 16 luglio 1767. Nel 1928, infine, Pio XI lo scelse come Patrono della gioventù abbandonata.
La sua morte fu particolarmente commovente (ma può esserci morte di un santo che non tocchi il cuore?): alla fine del 1536
per la Valle di San Martino si propagò un'epidemia, probabilmente di peste, che faceva strage fra la popolazione. San Girolamo si recò nella valle per assistervi gli infermi e il 4 febbraio 1537 fu colpito dal morbo; morì domenica 8 febbraio a Somasca. Le cronache narrano che prima di morire tracciasse una croce di colore rosso sulla parete per poter contemplare il Crocifisso durante l'agonia. Chiamò a sé i suoi orfani per l'ultimo commiato e, con le forze che gli rimanevano, lavò loro i piedi. Agli amici di Somasca raccomandò di non offendere Dio con scostumatezze e bestemmie e in cambio lui dal cielo avrebbe pregato affinché la grandine non rovinasse il raccolto. Lasciò poi quello che è considerato il suo semplicissimo e toccante testamento spirituale:
«Seguite la via del Crocifisso; amatevi gli uni gli altri; servite i poveri! »
Del grande Santo ci sono restate sei lettere molto semplici: leggendole però si coglie nitidamente come il suo cuore fosse tutto consumato dalla carità, da una dolcezza ineguagliabile, da un’attenzione finissima agli altri, in particolare ai poveri e ai sofferenti. Costante e accorato l’appello ai confratelli a mostrare fra loro la massima carità, pazienza, attenzione, a evitare ogni mormorazione, a essere davvero obbedienti, a mantenere la pace nella Casa.
San Girolamo è uno dei grandi santi della carità e dell’educazione: commosso profondamente dalla miseria morale e materiale in cui versavano spesso gli orfani e gli abbandonati, arriva col tempo, gradualmente, a dedicarsi anche alla formazione scolastica e professionale, per cercare di dare, appunto, ai suoi orfani, un futuro. La sua vita ci mostra in modo chiarissimo come egli non parte da un progetto grandioso e ben definito, ma da un’attenzione viva e profonda ai concreti bisogni che incontra; è la Provvidenza che guida la sua opera, che gli fa incontrare le persone più adatte a unirsi a lui o a sostenerlo, che lo spinge di luogo in luogo ad aprire nuove istituzioni caritatevoli. Ciò è quanto accade ad ogni uomo, anche nella vita più semplice e ordinaria. La differenza con un santo -ecco ciò che ci insegna la vita di san Girolamo- sta nella disponibilità ad ascoltare fino in fondo le ispirazioni di Dio, nel consegnarsi totalmente alla Sua Santa Volontà, nella carità divorante con cui si lasciano consumare completamente nei doveri di stato, senza riserve.
Ma san Girolamo è un santo che deve davvero commuoverci anche per un altro motivo: è un grande convertito. Avendo conosciuto l’abisso del vizio, della corruzione, della dissolutezza, non aggiunge ai suoi molti peccati quello più grave di ogni altro: la disperazione per i tanti peccati commessi. Accetta di essere stato perdonato: dal buio più tenebroso del male, immerso repentinamente nella luce accecante dell’amore smisurato di Dio per lui, sa che non può più vivere, ma deve lentamente morire d’amore per Gesù Salvatore. La sua carità senza misura è l’altro lato della sua sete di mortificazione e di sacrificio, d’immolazione e di rinuncia a sé. Così da lui deve prendere esempio ogni convertito: la gratitudine per Nostro Signore Gesù Cristo deve essere molto più grande dell’orrore che si prova vedendo sempre meglio e con sempre più grande disgusto l’abisso delle colpe e delle miserie dove Dio stesso si è degnato di venirci ad abbracciare, curando le nostre piaghe e colmandoci di ogni bene.