MONS. PAGLIA, IL PAPA MALATO E IL PROBLEMA DEL MALE
Il dolore e la morte in una prospettiva teologica modernista sprofondano nell'assurdo e diventano impensabili
Oggi, in un’intervista uscita su Avvenire mons. Paglia è stato interpellato su quale significato possa avere il pregare dei cristiani per la salute del Papa. Ecco il testo della domanda e della risposta:
Domanda: “Vorrei dirlo in modo più chiaro: le nostre preghiere hanno la capacità di cambiare i disegni di Dio?”
Risposta di mons. Paglia: “E in modo chiaro le rispondo. Non esiste una volontà di Dio per il male, il Dio di Gesù Cristo in cui crediamo manda vita, non malattie. Per questo pregare per la salute, nostra, dei nostri cari, del Papa, ci colloca in piena sintonia con il cuore di Dio. Ma siccome il male c’è, viene, noi siamo chiamati alla lotta, e la preghiera fa parte di questa buona battaglia. Altro, invece, è affermare che nella tempesta noi viviamo una prova, spesso dura, e la fede mi assicura che in questa prova ho Dio al mio fianco, perché lui per primo l’ha vissuta nella carne del suo Figlio”.
(https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/se-preghiamo-per-il-papalui-sente-il-nostro-abbra?)
La domanda verte in fondo sul più antico mistero affrontato dall’uomo, il problema del male, e su un classico problema teologico, ovvero sulla possibilità che la preghiera dell’uomo sia efficace e possa riuscire a cambiare i disegni provvidenziali di Dio. La risposta di mons. Paglia non spicca per solidità dottrinale. Egli esordisce con un’apparente ovvietà: “Non esiste una volontà di Dio per il male”; affermazione vera se si intende come vero male solo il peccato, Dio infatti non può volere il peccato. Ma l’affermazione diventa falsa se si pensa alla malattia e alla morte come a forme di vero male. Infatti la malattia, la morte e ogni altro tipo di sofferenza che può colpire l’uomo non sono una vera di forma di male, paragonabile al male morale rappresentato dal peccato, e possono essere chiamati “male” solo in modo analogico, in quanto realtà che provocano sofferenza. La morte è pena stabilita da Dio per il peccato originale; tutti gli altri mali fisici, come i vari tipi di malattia, da un lato sono inevitabilmente legati alla finitudine dell’uomo, dall’altro Dio può volere, ovvero permettere, che colpiscano un uomo come punizione dei suoi peccati, come occasione per espiare il male fatto, come monito per richiamarlo a conversione, come freno per prevenire cadute in peccati più gravi e rovinosi.
Nel caso invece di moltissimi grandi santi, se non tutti, Dio permette gravi malattie e durissime afflizioni di corpo e di spirito, oltre a terribili desolazioni spirituali e a persecuzioni da parte dei superiori e dei confratelli, per dare a chi è santo occasione di crescere ulteriormente nei suoi meriti, di distaccarsi ancor più dai beni creati e di conformarsi sempre meglio a Cristo crocifisso.
La frase quindi di Paglia: “il Dio di Gesù Cristo in cui crediamo manda vita, non malattie” è totalmente sbagliata e fuorviante, perché appunto Dio può volere, o permettere, che le malattie colpiscano questo o quell’uomo (e, in ultima istanza, tutti).
Al primo errore ne segue inevitabilmente un secondo, relativo all’efficacia della preghiera: “Per questo pregare per la salute, nostra, dei nostri cari, del Papa, ci colloca in piena sintonia con il cuore di Dio”.
Siccome Paglia pensa, erroneamente, che Dio non possa mandare (e, a questo punto, per logica conseguenza, nemmeno permettere) la malattia e la morte, diventa secondo lui legittimo pregare per la guarigione di una persona, perché si ha la certezza di “essere in piena sintonia con il cuore di Dio”. Una simile fantasiosa teologia dovrebbe, fra l’altro, sfociare nell’assoluta inspiegabilità e irrazionalità di una malattia dalla quale non si guarisce, pur avendo pregato: infatti l’onnipotenza di Dio dovrebbe permettere sempre la guarigione. Il dolore e la morte diventano quindi assurdi nella prospettiva modernistica di Paglia.
Fra l’altro non si capisce più come possa accadere qualcosa di male, perché ci siano il dolore e la malattia, visto che Dio, per Paglia, “manda vita, non malattie”.
Infatti il vescovo non dà una spiegazione, ma constata un fatto per lui inspiegabile:
“Ma siccome il male c’è, viene, noi siamo chiamati alla lotta, e la preghiera fa parte di questa buona battaglia”.
Cosa vuol dire: “Il male c’è, viene”? Perché c’è? Da dove viene? Paglia, come tutti i modernisti, non ha e non può avere risposte, è obbligato all’afasia, o a sprofondare nell’assurdo, alla constatazione che, assurdamente, il male c’è, anche se Dio in nessun modo lo vuole. A rigore sembra di essere di fronte alla posizione degli antichi manichei, per i quali esistevano due principi in lotta fra loro, l’uno principio del bene, l’altro del male.
Si noti, inoltre, che Paglia non ha risposto alla domanda del suo intervistatore, che gli aveva semplicemente chiesto: “le nostre preghiere hanno la capacità di cambiare i disegni di Dio?”.
E’ una quaestio classica della teologia quella sull’efficacia della preghiera dell’uomo. La risposta è che la volontà di Dio è immutabile, così come l’ordine provvidenziale stabilito ab aeterno con il quale governa il mondo e lo conduce al suo fine ultimo, che è la salvezza eterna degli eletti e, tramite essa, la maggior gloria esterna di Dio stesso. Ma la Provvidenza di Dio ha anche stabilito che certe grazie siano ottenute solo a fronte della preghiera dell’uomo, operante come causa seconda.
La seconda cosa che Paglia ha omesso di sottolineare è ancora più importante e consiste nel ricordarsi che è legittimo pregare per guarire da una malattia, se questa ci ostacola (o impedisce totalmente) nei nostri doveri di stato, ma sempre con questa premessa e con questo sentimento implicito: se la guarigione è espediente per la maggior gloria di Dio e per il mio maggior bene spirituale (o della persona per cui prego).
Era forse il caso, infine, di ricordare che i grandi santi non solo non temevano la morte, ma spesso la sospiravano, sia per il grande desiderio di giungere alò felice porto della vita eterna e della contemplazione di Dio, sia per la sofferenza che dava loro il sapere che era impossibile vivere senza cadere in qualche peccato veniale, anche solo di sorpresa.
Ricordiamoci sempre delle parole di sant’Alfonso Maria de’ Liguori: “Da Dio vengono tutti i beni e tutti i mali, cioè tutte le cose a noi contrarie, che noi chiamiamo falsamente mali perché in verità sono beni, quando noi li prendiamo dalle sue mani: “Vi sarà disastro nella città che non sia opera del Signore?” (Am, 3,6) disse il profeta Amos. E prima lo disse il Savio: “I beni e i mali, La vita e la morte vengono da Dio” (Eccl., 11,14)”
(S. Alfonso M. de’ Liguori, Uniformità alla volontà di Dio)